Intervista - Head Hunting: com'è cambiato negli anni

Intervista - Head Hunting: com'è cambiato negli anni




Intervista di Massimiliano Massaro a Mariagrazia Fortieri di Consea Executive Search .


L’ Executive Search si è profondamente modificato nel corso degli ultimi anni. Aggiornamenti legislativi, di mercato e tecnologici, hanno costretto a rivedere alcuni aspetti strategici e operativi di questo servizio. La presente intervista ripercorre i momenti più importanti di questo cambiamento.



Mariagrazia, ci racconti come nasce la tua esperienza professionale?

Ho iniziato a lavorare nella ricerca del personale nel 2003 in Adecco. In quegli anni la somministrazione del lavoro era una vera e propria novità. Successivamente ho fatto esperienza in un gruppo Olandese, per poi giungere a “L’eco della stampa” dove ho collaborato per tre anni. Solo successivamente ho conosciuto il campo dell’Headhunting vero e proprio, attraverso l’attuale società Consea presso la quale ancora oggi collaboro a distanza di oramai 10 anni. Con origini Torinesi, Consea è stata una delle prime aziende Italiane a svolgere questa tipologia di mestiere. Inizialmente era una servizio riservato in modo esclusivo ai dirigenti. Poi negli anni si modificato.


Come si è modificato nel corso di questi 10 anni il servizio dell’head hunting?

In questi di 10 anni sono stati due i profondi cambiamenti. Prima si è visto l’ingresso per mezzo della legge Treu delle società interinali, successivamente sono comparse nel mercato Italiano anche società anglo-americane come Micheal Page e Hays che si rivolgevano all’intermediazione di middle manager.


Per tradizione gli Head Hunter erano degli ex dirigenti aziendali, oppure delle società più strutturate ma straniere come ad esempio Spencer Stuart, Egon Zehnder, Russell Raynolds che avevano il loro brand italiano e che trattavano esclusivamente profili manageriali. Era un mondo molto chiuso, molto piccolo, e di cui si sapeva ben poco. Queste società erano generaliste, trattavano tutti i settori di business, e tutte le funzioni. Con l’ingresso di questi nuovi player, le cose sono profondamente cambiate per gli Head Hunter Italiani.

Queste grosse società avevano dietro di sé la forza economica, commerciale e finanziaria di andare sul mercato in modo incisivo. Mi riferisco in termini di presenza, tempistiche nonché a compensi più bassi. Tutto ciò era possibile grazie al numero di risorse interne che queste società si potevano permettere, tali per cui gli “studioli” di Head Hunting anche con lunga esperienza, non hanno retto a questo forte impatto. E’ accaduto quindi, che noi che eravamo i “professionisti identificati” per profili di alto livello, abbiamo dovuto confrontarci con grandi aziende che offrivano proposte molto competitive. Inoltre la disponibilità finanziaria di queste società le permetteva di disporre di banche dati molto strutturate, anche mondiali, e sistemi di comunicazione interna sul territorio molto efficaci.

Fino a quel momento, il mondo dell’Head Hunting era simile commercialmente al mondo dei notai, degli avvocati, dei commercialisti. Veniva riconosciuto un compenso per il lavoro svolto fin dall’inizio della commessa. Con questi nuovi attori la politica commerciale si è quindi modificata. Il mondo anglo-americano – luogo di provenienza di queste società -, ha iniziato a riprorre nel mercato Italiano la politica del “lavorare a successo”. Ovvero la disponibilità a riconoscere al professionista la parcella a operazione conclusa. Questo è stato un grande cambiamento. Come lo è stato successivamente nei primi anni del 2000, quando anche …


le società autorizzate alla ricerca di profili temporanei di cui accennavo prima, hanno avuto autorizzazione a trattare anche profili permanent.


Si è aperta così, anche per le famose società interinali l’opportunità di poter trattare profili come i quadri, i dirigenti e i middle manager, aumentando di fatto la concorrenza sul mercato.


Come hanno reagito le società di HH a fronte di quanto stava accadendo?

Molti piccoli studi hanno chiuso, altri hanno vissuto le loro criticità. Noi come Consea abbiamo deciso di optare verso una strategia internazionale. Ovvero, uscire dal “localismo Italiano”, per approdare nei mercati esteri. Abbiamo quindi aperto una società di proprietà in Cina nel 2005. Successivamente in Polonia, poi Brasile e più recentemente in Messico. Questo ci ha consentito di avere un posizionamento diverso dai nostri competitors italiani. Di riflesso, tutto ciò ci ha permesso di avere una buona riconoscibilità e una buona differenziazione anche in Italia.

Successivamente all’ingresso di questi nuovi player sul mercato, è arrivato il 2008 che è stato un momento difficile professionalmente un po’ per tutti i professionisti di questo settore – e non solo -. Come dico spesso, “Noi lavoriamo con i matrimoni, non con i funerali”, e nel momento in cui le politiche assuntive delle aziende hanno subito un tracollo, ci siamo ritrovati a fare i conti con un mercato molto ridimensionato nel suo complesso. Il tutto in modo inaspettato. L’apertura quindi dei paesi emergenti iniziata poco prima come CONSEA, ci ha permesso di continuare ad operare sul mercato Italiano dove nel frattempo il fatturato del settore si riduceva del 35-40%. Tutto ciò in una finestra che è proseguita fino al 2012. Solo nel 2013 vi è stato un miglioramento dei risultati raggiunti, che è poi risultato sostanziale nel 2014.


Ci sono stati quindi cambiamenti di mercato. A questi sono seguite anche nuove metodologie di fare ricerca?

Si. Dal 2000 ad oggi la tecnologia ha cambiato completamente il volto della ricerca. L’informatizzazione progressiva ha accelerato soprattutto i prodotti informatici presenti sul mercato dal punto di vista interno (database, network sociali).


Dal punto di vista esterno si è visto un disinteresse all’intermediazione perché le aziende stesse si sono dotate di quegli strumenti informatici che le hanno consentito di agire in molti casi in autonomia.

 

Qual è a parer tuo il valore aggiunto che porta la tua professione al mercato?

All’inizio questo mestiere permetteva di portare valore aggiunto in proporzione al peso e all’importanza del ruolo ricercato. I ruoli a profilo più basso un tempo erano vissuti sia dal mondo aziendale che da quello dell’Head Hunting come intercambiabili, o comunque ruoli su cui si prestava meno attenzione. Oggi le cose sono diverse, ed è centrale l’assunzione di risorse adatte ed efficaci ancor più di prima ad ogni livello di responsabilità. Oggi è importante quindi non sbagliare l’assunzione.

Oggi, ancor più di ieri, è importante che l’HH si faccia garante di un corretto processo, così come quello di essere un ‘occhio super partes. Le energie aziendali oggi risultano nel mercato mutevole di questi anni concentrate a produrre in tempi veloci risultati immediati. Lo spazio per occuparsi di attività a latere del funzionamento organizzativo restano poche da trasferire nella quotidianità lavorativa. Quindi è ovvio che la figura dell’HH permette di avere all’azienda quella fotografia, quella mappatura, quella visione del mondo esterno che gioco forza all’azienda è mancato e spesso manca.


Quali sono le conoscenze e le capacità che deve possedere un buon HH a parer tuo?

La prima è sicuramente relativa alla conoscenza specifica del settore di appartenenza del cliente. E’ importante parlare la stessa lingua. Non si può conoscere tutto, e un Head Hunter generalista è una figura molto complicata a parer mio. In più deve possedere una buona credibilità come persona e come società, tradotto una buona reputation nel mercato di riferimento. Anche se queste condizioni non sono da sé sufficienti. Ulteriore aspetto importante è quello relativo alla riservatezza inteso come capacità nel saper gestire le informazioni. Ovvero significa capire da cliente a cliente, da settore a settore, da figura a figura, quali tipi di informazioni sono chiave quali non lo sono. Altra competenza è quella di saper tradurre i bisogni di cui è portatore il cliente – cui molto spesso sono poco chiari a lui stesso – in bisogni espliciti. La credibilità banalmente molto spesso la si produce nella relazione professionale costruendo una corretta job description. Molto spesso il cliente crede di avere in testa in modo chiaro chi vuole, ma spessissimo dopo la prima riunione di presa in carico il bisogno aziendale, il cliente si rende conto che ci sono delle discrepanze. Non è infatti assolutamente utile a nessuno essere dei meri raccoglitori di job description.


C’è un ulteriore faccia della medaglia che tocca il terzo interlocutore del processo: il candidato. E’ importante che un HH sappia indirizzare i propri candidati/manager verso determinate posizioni e non altre. Mi spiego meglio, oggi con le tecnologie che conosciamo molti candidati vanno incontro ad un eccesso di informazioni che li portano ad andare verso alcune aziende piuttosto che altre in virtù di un mare magnum di suggerimenti che pervengono dalla iscrizione a mail list che ripropongono in automatico le posizioni aperte. Tuttavia questo eccesso di informazioni, si traduce molto spesso in una non informazione. Solo un occhio esperto, può facilitare questo incontro tra domanda e offerta, che riduca lo spreco di energie.


Hai accennato all’ingresso della tecnologia. Quanto i social sono utilizzati da un Head Hunter?

Oggi 100%. Spesso ci sentiamo dire che i social ci sostituiscono. A mio parere no, perché per il bravo HH questi sono strumenti che aiutano tantissimo a ridurre i tempi del processo, ma non sostituiscono il lavoro. Un social network come tale facilita il contatto per arrivare alla persona. Specificatamente per creare una short list da lavorare per la ricerca del candidato ideale da presentare eventualmente al cliente. Nulla di più. La valutazione delle conoscenze della persona sono un passaggio ulteriore. Il valore dell’HH, inizia nel momento in cui applica le sue conoscenze nel mercato di riferimento del cliente che ha richiesto la sua consulenza, per la scelta del candidato migliore.


Un errore che non deve assolutamente commettere un Head Hunter?

Valutare le persone attraverso categorie generiche. Seppur banale questo aspetto nel suo riconoscimento operativo, risulta invece una facile trappola soprattutto da parte di chi ha molta esperienza. Affidarsi all’esperienza non sempre è un valore aggiunto. Molte categorie sono superate. Gli HH storici tendevano molto a livellare i processi valutativi. Oggi le generazioni dei nati negli anni 80 sono già loro molto diverse da chi è nato negli anni 70. Questo oltre ad aver prodotto esperienze scolastico/educative diverse, ci obbliga in sede di valutazione di considerare diversamente, ad esempio la categoria work life balance di chi è nato poco prima o anche subito dopo.


Uno slogan del tuo mestiere?

Disponibile a imparare sempre e a buttare a mare tutto se il mondo del lavoro si modifica. Capacità di creare sempre un clima di fiducia sia con il cliente che con il candidato.



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