Articolo - Prevenire la devianza organizzativa in sede di selezione
Il comportamento di devianza organizzativa (o comportamento deviante nel contesto di lavoro; deviant workplace behavior) corrisponde all’ infrazione delle norme di un’organizzazione, e sortisce una serie di effetti negativi: diminuzione del livello di qualità della prestazione globale, danni alla produttività, dilatazione in senso sfavorevole del rapporto tra investimento/spesa e profitto/guadagno. Pertanto, esso viene anche definito come comportamento lavorativo controproduttivo (counterproductive work behavior). È evidente che il peggioramento delle condizioni economico-finanziarie sul piano organizzativo ricade nocivamente sul benessere soggettivo e oggettivo dei dipendenti dell’impresa.
Da un comportamento di devianza organizzativa deriva una situazione lose–lose, opposta alla situazione win–win che dovrebbe attestarsi come meta di ogni intervento di gestione delle risorse umane: da un lato, l’azienda che finanzia attività di questo tipo ottiene il proprio ritorno sull’investimento, traendo dall’incremento della performance dei lavoratori un profitto superiore a quello che conseguiva fino al momento in cui quelle stesse attività non erano state svolte; dall’altro, i membri dell’organizzazione versano in una condizione lavorativa di benessere e soddisfazione lavorativa che, a sua volta, innalza il livello della loro performance e, conseguentemente, degli introiti aziendali. E così via in un circolo virtuoso. Invece, un comportamento di devianza organizzativa, per usare una metafora calcistica, coincide con il caso di un calciatore che insacchi un autogol in maniera intenzionale.
Robinson & Bennett (1995) classificano quattro forme di comportamenti devianti nel contesto di lavoro:
Gli stessi autori distinguono tra comportamenti devianti rivolti contro l’organizzazione e contro le persone.
Quando un dipendente sottrae alla propria azienda anche una semplice risma di fogli da stampante per farne un uso personale, il danno non è solo economico, ma si somma al disservizio interno al funzionamento organizzativo.
Inconvenienti della stessa natura ma di maggiore gravità possono condurre l’azienda anche all’ impossibilità di garantire sicurezza economica e psicologica ai propri dipendenti. Ma possono essere in parte prevenuti durante la selezione del personale. La prevenzione della devianza organizzativa in sede di selezione del personale costituisce un terreno di incontro interdisciplinare tra psicologia del lavoro e delle organizzazioni e psicologia della personalità, e un’opportunità di applicazione di quest’ultima all’ ambito professionale.
Una moltitudine di ricerche (Berry, Ones & Sackett, 2007; Dalal, 2005; Ones, Viswesvaran & Schmidt, 1993, 2003; Mount, Ilies & Johnson, 2006; Sackett & DeVore, 2001; Salgado, 2002) ha infatti individuato alcuni tratti di personalità che possiedono una maggiore forza predittiva dell’espressione di azioni negative sul luogo di lavoro.
Un particolare riferimento va al modello dei Big Five (McCrae & Costa, 1987; 1997), secondo cui esistono cinque grandi dimensioni alla base della personalità umana:
Il profilo di personalità di un individuo si traccia osservando l’ordine in cui questi fattori si dispongono gerarchicamente nella personalità del soggetto, in base al loro grado di presenza rilevato mediante la somministrazione del Big Five Questionnaire (BFQ; Caprara, Barbaranelli & Borgogni, 1993).
Sono stati identificati come più propensi a mettere in atto comportamenti devianti quei lavoratori con profilo di personalità caratterizzato soprattutto da bassa Coscienziosità, alto Nevroticismo e bassa Amicalità. Si tratta di dipendenti meno dotati di autodisciplina, con poca sensibilità a norme e regole, meno in grado di controllare i propri impulsi, maggiormente inclini a sperimentare emozioni spiacevoli come ansia e ostilità, moderatamente disponibili e scarsamente fiduciosi.
Questa è una delle ragioni dell’inserimento, nel processo di selezione del personale, di una fase dedicata alla possibilità di prevedere, predire e prevenire i comportamenti di devianza organizzativa, consistente nella pratica di somministrazione di un inventario di personalità come anche il BFQ.
Certo, non è detto che un soggetto con un profilo di personalità “a rischio”, se assunto da un’azienda, sicuramente emetterà un comportamento deviante, né ha senso scartare un candidato a prescindere dalla coerenza tra le sue abilità, capacità, competenze e le caratteristiche richieste dalla posizione per la quale si concorre.
Sarebbe erroneo, infatti, non considerare che un corpo di ricerche altrettanto vasto si propone di reperire i fattori esplicativi del comportamento deviante nel contesto di lavoro a un livello organizzativo, studiando l’influenza di variabili quali norme e valori (Morris & Moberg, 1994; Shapiro, Treviño & Victor, 1995), clima organizzativo (Peterson, 2002), giustizia organizzativa (Ambrose, Seabright & Schminke, 2002; Henle, 2005), supporto organizzativo (Ferris, Brown & Heller, 2009).
Davide Giusino
Laurea triennale in Scienze e Tecniche Psicologiche @ Università degli Studi di Palermo, tesi di psicologia del lavoro e delle organizzazioni "L'attaccamento al luogo di lavoro: stato dell'arte e prospettive per il futuro". Tirocinio di ricerca su workplace attachment @ Dipartimento di Scienze Psicologiche, Pedagogiche e della Formazione, Palermo. Erasmus+ for Study @ Aix-Marseille Université. Summer University Lingen 2017 "Management in a Global Environment" @ Hochschule Osnabrück - University of Applied Sciences. Attualmente, studente dello European Erasmus Mundus Master on Work, Organizational and Personnel Psychology (WOP-P) @ Alma Mater Studiorum - Università di Bologna (home) e Universitat de València-Estudi General (host), lavorando alla tesi sperimentale "The Impact of Introducing Bibliometric Evaluation on Italian Research in Psychology".